L`originaria chiesa, apposta su una preesistente moschea, venne eretta nel XII secolo dal conte Ruggero che la chiamò Santa Maria la Scala e la inserì nella diocesi di Troina
Il successivo aumento della popolazione, dovuto ai coloni lombardi, portò all`ingrandimento della chiesa che, per essere distinta dalla precedente più piccola, venne chiamata chiesa di Santa Maria Maggiore: essa fu consacrata il 7.4.1207 dal Cardinale Rodolfo, vescovo d`Albano e delegato pontificio in Sicilia (sotto il papato di Clemente IV); il documento della consacrazione era riportato (come riferisce il Provenzale) su di una tabella marmorea, posta nell’antico tempio, dove si leggeva: Rodulphus ingi (indi?) recordatione Praesul Albanensis Sanctaeque sedis legatus vetustissimam hanc insignem Nicosinorum Matricem sub dulcissimae Virginis Mariae Maioris Nomina, tunc itidem dicatum, consecrandam jure merito duo Millesimo ducentesimoseptimo Idus Aprilis, cuius consecrationis monumentum Nicosiae ab eodem firmatum...
A dire del Provenzale, innanzi la chiesa era situato un ampio piano dove, in due portici (uno a lato della Matrice e l`altro verso la Porta Maggiore), si teneva il Mercato due volte la settimana, cioè il lunedì ...in cui si gode la franchezza per li venditori e compratori ancora... e il sabato ...ne` quali posson provedersi tutti di quanto han bisogno. Ingrandita durante i contrasti con i “nicoleti”, venne portata a termine nel 1454, e poi eretta in “Collegiata”(con l`insegne di Rocchetto, Mazzeta violacea e negra, Cappa Magna ed Armellino) nel 1625, sotto il pontificato di papa Urbano VIII.
La primitiva chiesa crollò poi nel 1757 in seguito alla lavanca (grande frana causata dagli smottamenti delle rocce di natura arenaria che, in pochi mesi, distrusse la chiesa e numerose case); i lavori di ricostruzione della basilica iniziarono nel 1767, sotto progetto e direzione dell’architetto Serafino da Catania, ma proseguirono molto lentamente tanto che, alla fine del 1700, erano state edificate solo le tre navate.La basilica venne completata nel 1904, data in cui fu anche consacrata dal vescovo del tempo, mons. Francesco Fiandaca, come ricorda l’affresco di Ettore Ximenes nella volta dell’abside.
La facciata della basilica è rimasta incompleta nella parte superiore; su questa anomalia si sono fatte due ipotesi:
- mentre i ricchi nobili avevano donato gli altari e gli oggetti preziosi, la povera gente, per devozione alla Madonna, contribuì alla costruzione del tempio andando a prelevare dalla cava di San Giovanni le pietre, che portarono a destinazione (a piedi o con i muli) e che collocarono con le proprie mani, chiedendo in cambio che la morfologia della facciata non venisse modificata, a testimonianza del loro impegno;
- la seconda ipotesi sostiene invece che la facciata fu lasciata incompleta appositamente per simboleggiare le rovine dell’antica Chiesa.
Il portale principale (XVII secolo) della nuova chiesa fu donato dal barone La Via di Sant’Agrippina (dovrebbe essere il 4° Barone di Sant’Agrippina, tale Giacomo Maria Michele Wenceslao, oppure il figlio Giacomo, entrambi viventi in quel periodo), che lo salvò dal suo palazzo, anch`esso franato durante l`avvallamento del 1757; in eleganti nicchie suddivise da colonne di stile corinzio, vi sono collocate le seguenti divinità pagane: a sinistra il dio del vino Bacco e la dea dell’amore Venere con Cupido munito di arco; a destra la dea Cerere, con una foglia di palma in mano, e il dio dei venti Eolo.
Sulla facciata principale sono presenti altre due porte minori:a sinistra quella della Congregazione dei nobili del Monte di Pietà, che avevano il privilegio esclusivo di entrare in chiesa attraverso essa; e a destra la porta del Giubileo, che si dovrebbe aprire in tale occasione.
La basilica è priva di campanile, anche se esso era stato previsto nel progetto iniziale.Di morfologia a croce latina, all’interno la chiesa è suddivisa in tre navate che terminano con tre altari.
In quello centrale si trova il grandioso altare maggiore di stile neoclassico, scolpito dal palermitano Salvatore Valenti; dietro si ammira la superba Cona marmorea di Antonello Gagini, proveniente dall’antica Chiesa, dove era stata collocata già nel 1512. Nell’asse verticale centrale essa raffigura la vita della Madonna (il Transito, la Natività, l`Annunciazione e la Coronazione), mentre ai lati, in eleganti nicchie, sono poste le sculture di alcuni santi (i dodici Apostoli a mezzo busto nel primo ordine; Pietro, Paolo, Stefano e S. Lorenzo nel secondo ordine della scultura; San Giovanni con l’aquila, San Matteo con l’angelo, San Luca con il toro, San Marco con il leone nel terzo ordine; la Vergine, l’angelo Gabriele, San Nicola e Santa Lucia nel quarto ordine; Sant’Agata e San Giovanni Battista nel quinto ordine); in cima vi è la statua di San Michele, con la spada sfoderata e col drago in catene ai suoi piedi.
In alto, nella concavità dell’abside, si osserva dipinto l’affresco di Ettore Ximenez (datato nel 1903), che vi raffigura in posizione dominante l’Incoronazione della Vergine, con la presenza in basso del popolo nicosiano (tra cui mons. Ferdinando Fiandaca, le Confraternite, alcuni nobili nicosiani e il sindaco d’allora Giovanni Cirino).
Nell’altare di destra invece è collocato il crocifisso del Padre della Misericordia, realizzato dal nicosiano Vincenzo Calamaro (XVII sec.), tuttora molto venerato dalla popolazione poiché, nel 1626, portato in processione per le vie del paese, liberò Nicosia dalla peste che la flagellava. Alla sinistra del crocifisso, un quadro raffigura la Cattura di Gesù nell’orto, mentre sulla destra è posta una tela che rappresenta Gesù con la Veronica (entrambi di autore ignoto). Dietro il crocifisso invece, troviamo un quadro del Giorgione, che raffigura la processione di penitenza durante la peste.
Nell’altare di sinistra, nella cappella del SS. Sacramento, è collocato un paliotto d’altare del SS. Crocefisso (del XVII secolo, da attribuire a Stefano Li Volsi), costituito da un pannello ligneo decorativo (che riveste la parte anteriore dell`altare) dove viene riprodotta la Crocifissione di Gesù, su di uno schema ripreso da "La crocifissione" del Tintoretto (tela dipinta nel 1565 e conservata nella Scuola Grande di S. Rocco a Venezia).
Il pannello è inserito in una cornice che ai lati, all`interno di quattro colonnine tortili, presenta raffigurate in rilievo quattro scene della Passione di Cristo: Cristo nell’Orto degli Ulivi, la Flagellazione, Cristo incoronato di Spine e la Salita al Calvario.
Nella scena centrale, che si svolge sullo sfondo di un cielo nuvoloso minaccioso che dà la sensazione di una sciagura imminente, è raffigurato Gesù Cristo crocifisso con le braccia spalancate che sembrano abbracciare il mondo e che contrastano con quelle abbandonate delle pie donne raccolte sotto la croce in deliquio; fra esse si riconosce Maria Vergine straziata dal dolore con vicino San Giovanni evangelista.
Ai lati di Cristo stanno per essere issati sulle croci da soldati ed aguzzini sia Disma (a sx) che il cattivo ladrone (a dx); alcuni uomini a cavallo, che guardano indifferenti o compiaciuti la scena, sono disposti specularmente ai lati della scena, formando un piano prospettico che scivola verso l`orizzonte. Le torri e le mura di Gerusalemme conferiscono profondità all`insieme.
Fra i colori predomina una tonalità gialla che rende la scena carica d`angoscia.
Nell’altare di sinistra, nella cappella del SS. Sacramento, è collocato un paliotto d’altare del SS. Crocefisso (del XVII secolo, da attribuire a Stefano Li Volsi); nel grande pannello è riprodotta la scena del Golgota durante la Crocifissione; sullo sfondo è raffigurata Gerusalemme con le sue torri; ai lati del pannello si osservano a rilievo quattro episodi della Passione: la Salita al Calvario, Cristo nell’Orto degli Ulivi, Cristo incoronato di Spine e la Flagellazione .
Nella chiesa è conservato anche il Trono di Carlo V, in legno di rovere nero; esso fu in origine costruito nel 1518 come stallo presbiterale e, nel 1535 durante la sua visita alla città, venne utilizzato per farvi sedere il sovrano; da allora non fu più usato come seggio presbiterale, ma conservato come reliquia.
Dietro il trono di Carlo V, in alto, si nota un antica e piccola scultura in terracotta che raffigura una vecchia donna seduta e colle palpebre abbassate che gli artigli di una aquila stanno a sollevare (quasi a significare il passaggio dalla dominazione araba a quella cristiana), e sotto a caratteri ben visibili l`iscrizione greca NIKOX.
Altre opere di notevole interesse sono le statue lignee dello scultore nicosiano Giambattista Li Volsi (Sant’Onofrio Eremita e l’Angelo Custode che raffigura l’arcangelo Raffaele che guida il piccolo Tobia); una statua in marmo raffigurante la Madonna (attribuita a Francesco Laurana); il Martirio di San Lorenzo, tela del nicosiano Giacomo Campione.
Nel transetto destro, in alto nello stucco, vi è un medaglione raffigurante la Madonna e accanto, su una nube, i tre santi nicosiani che intercedono per il loro popolo, e cioè: papa San Leone II (presunto nicosiano), San (in origine Beato) Felice e San Luca Casale.