La Cattedrale di Nicosia, dedicata a San Nicola di Bari, è stata dichiarata Monumento Nazionale con R.D. del 21 novembre 1940.
Forse sovrapposta ad un preesistente luogo di culto arabo, essa venne iniziata a costruire nei primi anni del 1300 (forse nel 1302, in seguito alla Pace di Caltabellotta); la piccola chiesa, in un documento del 1305 pubblicato da A. Barbato, è menzionata come ...capilla sancti nicolai de plano, ed è subordinata alla più titolata ecclesia sancte marie maiori.
Il tempio venne consacrato nel 1340, data riportato in un`epigrafe (oggi illeggibile) scolpita sull`architrave della Porta del Monte: Anno Milleno tercentum cum quadrageno - Virginis intacte post partum quam satis apte - hos Nexinus Thomas lapides Nicosinus - construxit vere tu nobis Rex miserere: - qui mentis gratis deditegros - Inde beati tendunt ad regnum Paradisi - jure super num conservet gentem Nicoxie firmiteae (Nell`anno 1340 dopo il parto della Vergine Maria, quanto abbastanza potè Nexinus Thomas di Nicosia pose queste pietre. Davvero tu, Re del Cielo, abbi misericordia di noi: Tu sei Colui che ha donato animo grato agli afflitti. Da qui i beati tendono al Regno del Paradiso secondo la giustizia divina. Dio conservi il popolo di Nicosia e saldamente lo guidi).
Secondo una deposizione di Vincenzo Banesio del 1577, riportata dagli studiosi locali, a causa delle liti le “...chiese sono quasi rovinate et presentim la ecclesia di sancto Nicola sta con il tetto scoperto”: era forse in costruzione la cupola e il prolungamento della chiesa fino alla torre campanaria.
Della primitiva costruzione trecentesca conserva il Portale Maggiore di stile gotico-normanno, arricchito da un architrave con ornamentazione romanica prevalentemente a foglie d’acanto, perle, funi attorcigliate e punte di diamante (per la sua bellezza, è denominato Porta del Paradiso); in periodo barocco, nelle basi laterali, vennero aggiunte quattro statue raffiguranti le Virtù Cardinali (nel timpano erano invece collocate tre statue raffiguranti le Virtù Teologali). Nel frontone sono collocati lo stemma aragonese, quello di Nicosia, un’icona e due lapidi posteriori. Nel prospetto nord, la chiesa mostra all’esterno il portico con loggia e, all’interno, la sacrestia con l’aula capitolare. La loggia e il portico vennero costruiti fra il 1489 e il 1490, come risulta da un documento di compravendita redatto a Palermo in data 18 Marzo 1489, presso il notaio Domenico Di Leo (come riportato dal rimpianto prof. De Francisco). Nella facciata rivolta a mezzogiorno, di stile più recente, si apre un’altra porta con due colonne antistanti, sormontata da uno stemma borbonico.
All’interno, la chiesa presenta tre navate divise da colonne, con ampio transetto sul quale si affacciano le cappelle di fondo; l’originale soffitto ligneo dipinto (sec. XIV) è coperto da una volta in gesso affrescata dai fratelli Antonio e Vincenzo Manno (1810); gli affreschi delle navate laterali sono invece di Onofrio Tomaselli (1906).
Vi si enumerano numerose e pregevoli opere d’arte.
Fra i marmi rinascimentali si annoverano:
- la Madonna della Vittoria collocata sull’altare del transetto destro;
- il Pulpito marmoreo ottagonale (1566) di Gian Domenico Gagini (figlio di Antonello), sorretto da una colonna con capitello corinzio: le figure in rilievo sono quelle del Cristo risorto, di S. Pietro, S. Paolo, S. Giovanni Battista e S. Nicola;
- il Fonte battesimale (di A. Gagini) posto nella prima cappella della navata sinistra, con la rappresentazione del Peccato Originale, posto ai piedi di un ciborio (opera forse dei marmorai Mancino e Vanello) decorato da rilievi con scene della Passione, figure di profeti, angeli, SS. Pietro e Paolo e l’Annunciazione:
- nella cappella che fronteggia il fonte battesimale è collocato il gruppo statuario del Gagini (il Risorto, la Vergine e S. Giovanni) proveniente dalla diruta Chiesa della Misericordia;
- il Mausoleo di Alessandro Testa, opera di Ignazio Marabitti;
- il Sarcofago dell’arciprete Avarna (1841);
- il monumento del vescovo Cozzucli (1902);
- la cappella del SS. Sacramento, con pareti, altare e balaustra intarsiati con marmi colorati e disegni a mosaico fiorentino.
Anche statue e intaglio lignei barocchi costituiscono un ricco nucleo di opere, fra le quali si distinguono:
- il Padre della Provvidenza (prima metà del XVII sec.) del palermitano De Miceli, crocifisso conservato nella cappella a destra della maggiore;
- il Coro ligneo (sec. XVII) dei nicosiani Giovambattista e Stefano Li Volsi (padre e figlio); nei pannelli sono raffigurati l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme, il Martirio di S. Bartolomeo, l’Assunzione di Maria con la città di Nicosia ai piedi e S. Nicola di Bari che soccorre tre povere fanciulle;
- le statue di S. Bartolomeo e S. Giovanni di Giovambattista Li Volsi;
- l’enorme statua lignea di San Nicola collocata sul tetto che copre la crociera, anch’essa opera di Giovambattista Li Volsi; la statua è attorniata da medaglioni raffiguranti gli Apostoli, dipinti dal nicosiano Antonio Filingelli (XVII sec.);
- la statua di San Nicola, del gangitano Filippo Quattrocchi, collocata sull’altare del transetto, nella navata sinistra;
- il grande organo intagliato e dorato (XVII sec.), opera di Raffaele La Valle, completata dal nicosiano Carlo Bonaiuto: la scultura al centro, raffigurante Davide che suona la lira, è opera di Stefano Li Volsi.
Di grande pregio artistico sono le grandi tele, fra i quali degni di citazione sono:
- la Resurrezione (di G. Velasco), collocata in fondo al presbiterio;
- il Martirio di S. Placido, dipinto di G. Patania (nella seconda campata della navata destra);
- la Sacra Famiglia, dipinto attribuito al nicosiano Filippo Randazzo;
- l’ Immacolata, attribuita sempre al Randazzo.
L’Aula Capitolare, dove sono collocati armadi settecenteschi e una statua di S. Nicolò del gangitano Quattrocchi, costituisce una vera e propria pinacoteca con quadri di:
- Johannes De Mata (S.Eligio del 1535),
- Giuseppe de Ribera detto "lo Spagnoletto" (Martirio di San Bartolomeo),
- Pietro Novelli, detto il “Monrealese” (Madonna col Bambino, San Giovanni e Santa Rosalia)
- Salvator Rosa (Martirio di San Sebastiano).
Ma il principale motivo di interesse artistico è rappresentato dalla decorazione pittorica dell’antico soffitto ligneo (XIV-XV secolo) che rappresenta l’unico esempio rimasto in Italia di tetto a capriate dipinto: esso non è ai giorni nostri visibile, essendo stato coperto da una volta a botte lunettata agli inizi del secolo XIX , allorché si ritenne più consona alla funzione di copertura chiesastica una volta in gesso affrescata con scene sacre (opera dei fratelli Manno) piuttosto che un tetto ligneo in cui la rappresentazione sacra si trovava frammista a motivi profani.
Il tetto ligneo (m.3,60 di base, m.3 ai cateti, m.1,03 di altezza) ha una struttura a carena con capriate a vista poggianti su mensole alveolate, ed è diviso in tredici campate; lo spazio inquadrato in ognuna delle due travi maggiori è diviso in quadrati intervallati da piccole travi che li dividono a loro volta in formelle; al centro delle due travi maggiori si trovano larghi assi dove sono raffigurati Santi e scene sacre.
In merito alla datazione dell’opera, esistono solamente prove indiziarie.
Lo stemma dei Ventimiglia, presente nella dodicesima e nella terza campata, ci porta al 1393, data in cui il governo della città di Nicosia era affidato a Francesco Ventimiglia; anche altri stemmi nobiliari si riferiscono a famiglie magnatizie nicosiane (Sabia e De Marchisio) del XIV-XV sec.
Ancora più interessanti sono le insegne araldiche degli Aragona di Sicilia (scudo diviso in croce di S.Andrea, con due aquile coronate ai lati aventi le teste rivolte a dx, percorso verticalmente da quattro fasce rosse su fondo oro) presenti nella nona campata: le aquile (in origine affrontate), iniziano ad essere rappresentate rivolte verso destra durante il regno dei Martini (dal 1401 al 1410), per poi modificarsi profondamente nel 1412.
La presenza, tra le pitture della terza campata, del monogramma di Cristo, fa invece affermare a F. Bologna che la data di compimento dell’opera non può essere antecedente al 1435.
Nessuna certezza, quindi, sulla datazione dell’opera, ma tanti indizi che suggeriscono di inserirla nella prima metà del XV secolo.